L‘infiammazione del tendine d’Achille può avvenire sia a livello inserzionale che non-inserzionale.
La tendinite inserzionale è fondamentalmente legata ad uno stress meccanico.
Ecco perché gli atleti più soggetti a questi problemi sono quelli che fanno sport da durata (mezzofondisti e maratoneti) e quelli che durante la loro attività usano stivali o calzature che aumentano l’attrito posteriore.
Esiste poi la classica esostosi retroachillea, in cui il ruolo determinante è dato da una presenza in eccesso di calcagno. Il paziente lamenta dolore posteriore e, ad una prima visita, appare evidente una sorta di “gobba” posteriore che ha il ruolo negativo di aumentare i volumi e, pertanto, l’attrito.
Nella tendinite non-inserzionale, invece, il paziente lamenta dolore a circa due o tre centimetri dalla sua inserzione calcaneare, dando vita ad un’alterazione della forma del tendine caratteristica, a “clessidra”.
Il paziente lamenta dolore a livello del tendine d’Achille, senso di bruciore, difficoltà nella deambulazione, talvolta gonfiore e deficit di forza muscolare.
La diagnosi prevede in prima ipotesi l’ecografia muscolo–scheletrica, che riesce già a valutare bene lo stato del tendine ed inoltre, essendo ripetibile, attraverso di essa si può monitorare l’evoluzione della patologia.
In casi difficile, o difficilmente comprensibili, può essere necessario integrare con risonanza magnetica.
Ovviamente, la visita fisiatrica è fondamentale, per porre una diagnosi completa e stabilire il corretto percorso terapeutico.
Il ruolo delle terapie è di incrementare il microcircolo, favorire lo smaltimento dei cataboliti dell’infiammazione e, riducendo l’infiammazione, ridurre il volume dei tessuti coinvolti dalla patologia.
Le terapie fisiche dovrebbero essere accompagnate da terapie manuali e attività fisica del paziente che incrementi l’elasticità tendinea: l’ideale sono, quindi, esercizi di stimolo eccentrico del tendine d’Achille (banalmente, allungamento contro resistenza).
Le terapie più utilizzate sono, pertanto: